X
Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per inviarti pubblicità e servizi in linea con le tue preferenze.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie.
Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui.

Stefano Montanari

Dal sito www.orticaweb.it 

Il noto scienziato, massimo esperto di nanopatologie, ci dà il suo parere sulla centrale al Sasso


Gli Etruschi erano gente perbene: non facevano la guerra a nessuno ed erano personcine pulite. Un tale, scavando a Pian della Carlotta, a due passi da Cerveteri, ci scoprì un loro impianto termale. Lì, ai 55 gradi dell’acqua sulfurea, un toccasana per la pelle e un terrore per i parassiti, gli Etruschi si lavavano e ne uscivano rinvigoriti anche nello spirito.Puliti e ben poco energivori. L’acqua a 55 gradi, per esempio, sgorgava tale e quale dal sottosuolo senza che nessuno si preoccupasse di scaldarla.

Lasciando da un canto la pulizia, argomento su cui ci sarebbe parecchio da discutere, l’uomo del XXI secolo è un mangiatore bulimico di energia e ne è tanto ingolosito da spremere la Natura per averne sempre di più, anche se di più non servirebbe affatto. In concreto, il maggior consumo di energia finisce ad alimentare gli sprechi, dalle case mal concepite che perdono calore d’inverno o troppo ne incamerano d’estate, alle luci che restano accese perennemente all’interno di spazi dove non serve, dalle insegne accese di fabbriche chiuse di notte giù fino alle lucette pilota delle TV che, in Europa, succhiano l’elettricità prodotta dall’equivalente di quattro centrali.

È così che a Pian della Carlotta, località Sasso, approfittando di distrazioni, di slalom burocratici e – lasciatelo dire a me che sono politicamente scorretto – facilitati da un’ignoranza monumentale e da tanta indifferenza, dove duemila e passa anni fa c’erano le terme si minaccia di costruire un impianto cosiddetto a biogas. Uno dei quattro che dovrebbero contraddistinguere la zona.

Il primo inghippo pare essere quello di una viabilità non proprio ottimale per trasportare in loco le masse santificate da quel prefisso bio che mette in pace i cuori, ma questo non pare costituire un problema: se si vuole energia, i camion viaggeranno comunque, magari lungo qualcosa che non è molto più di un sentiero che, per non fare botti, viene fatto funzionare a senso unico alternato. Viaggeranno costi quel che costi. Ma, poi, la domanda è: dove si prenderanno le biomasse per sfamare quattro impianti? Se devo essere sincero, quando venni a fare un giretto in zona non mi pare di aver visto gran che di utilizzabile sotto forma di massa bio e, restando a Pian della Carlotta, di quella roba ne occorreranno 45 tonnellate tutti i giorni.

Ma come funziona una centrale a biogas? Tutto sommato, tralasciando sottigliezze tecniche che, comunque, lasciano inalterata la sostanza, si ammucchia qualcosa che, marcendo, produce gas, una mistura di metano, anidride carbonica e una collezione considerevole di altre sostanze gassose che nessuno si prende la briga di analizzare. Poi questo gas di composizione non proprio chiarissima e magari neanche di grande costanza viene bruciato e da quella combustione si ricava energia. Tanta? Beh, non proprio, ma quel che importa è il business ricavato dal sovrapprezzo piuttosto grasso con cui viene remunerata l’energia elettrica prodotta in quella maniera. E poi ci sono i Certificati Verdi che, se si sa come maneggiarli opportunamente,  consentono, alla fine, di far diventare carbone e petrolio fonti d’energia rinnovabile. Non sta né in cielo né in terra? Certo, ma la burocrazia esce salva.

Per chi non fosse informato su che diavolo siano i Certificati Verdi, si tratta di documenti che tengono conto di quanta anidride carbonica produce un determinato impianto. Se questa produzione è inferiore a quanto avrebbe fatto un’istallazione che si serve di fonti fossili, ecco che il gestore dell’istallazione “virtuosa” può vendere a chi virtuoso non è la propria virtù. Insomma, se, bruciando una fonte fossile per produrre una determinata quantità di energia si genererebbe teoricamente un inquinamento da  CO2 di 100 e io, il virtuoso, di CO2 ne produco modestamente  80, ecco che posso vendere il  20 “risparmiato” a chi sfora dai parametri. È  così che, pagando qualcosina, l’anidride carbonica non inquina più.  Per biologia? Non scherziamo: per legge, e alla legge la biologia, volente o nolente, si deve inchinare. Difficile giudicare sano di mente un legislatore che partorisca un mostro tanto grottesco, ma la psichiatria esula dalle mie competenze e non mi addentro nella questione.

Ma che cos’è una biomassa? Razionalmente parlando, si tratta di vegetali che non contengono inquinanti (residui di concimi chimici, diserbanti, pesticidi, ricadute di polveri, ecc.) e la cui ricrescita è più veloce rispetto al consumo che se ne fa o, almeno, le velocità sono uguali. Altra necessità è che il materiale deve arrivare da distanze quanto mai ridotte. Beh, roba simile, se mai esiste, è di una rarità assoluta e temo che nella pur privilegiata area intorno a Cerveteri, dove le leggi della chimica, della fisica e della biologia paiono essere abolite, rarità assoluta resti. E, dunque, che si fa? Il business dell’energia strapagata e dei Certificati Verdi è una manna dal cielo per qualcuno e allora… E allora, per una trasformazione che pare essere pertinenza della magia, più o meno qualunque cosa è biomassa. Non voglio essere pedante oltre misura, ma non sarebbe male se si meditasse sul  Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 – Art. 2 – che recita: “Ai fini del presente decreto ….per biomasse si intende: la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani. – Art. 17 ….sono ammessi a beneficiare del regime riservato alle fonti energetiche rinnovabili i rifiuti, ivi compresa, anche tramite il ricorso a misure promozionali, la frazione non biodegradabile ed i combustibili derivati dai rifiuti (C.D.R.) …”

A chiarire ulteriormente la questione ci pensò qualche mese dopo il Consiglio di Stato Sezione V con la sua sentenza numero 5333 del 29 luglio 2004. Questa stabilisce che, per produrre energia, si possono utilizzare non soltanto le biomasse vere ma anche altri rifiuti classificati dal burocrate come “non pericolosi” (!) dei quali è importante incentivare il recupero. La centrale a biogas, così, può utilizzare qualsiasi combustibile ammesso dalla legge, sempre che, in qualche modo, si riesca a farlo fermentare.

Insomma, per intervento paradivino dei magistrati trasformati in scienziati e anche in qualcosa di più, quasi qualunque porcheria è legalmente una biomassa. E allora, dunque, a Pian della Carlotta località Sasso, così come dovunque esista una centrale a biomassa o a biogas, potrebbe arrivare una varietà sorprendente di materiali e la cosa sarà perfettamente legale.

Riferendo un déjà vu annoso, è tradizione che chi propone le centrali a biogas o a biomassa giuri che tratterà solo vegetali selezionati e di varietà dichiarate preventivamente. Poi, fatta la festa, il santo viene regolarmente gabbato e là dentro ci finisce qualunque cosa sia legalmente permessa. E un po’ dopo, magari, ci scappa pure qualcosa che proprio legalmente permesso non sarebbe ma, possiamo esserne certi, questo non accadrà mai intorno a Cerveteri dove l’attenzione di chi è deputato a controllare (altrove quasi sempre i gestori stessi dell’impianto) sarà massima. Parola di lupetto.  

Tralascio i tanti problemi legali di cui non sono competente come, ad esempio, le distanze dagl’insediamenti abitativi, il fatto che le biomasse dovrebbero provenire solo da terreni vicini e di proprietà del gestore o da lui affittati e il controllo da effettuare sul digestato sparso sul terreno come ammendante. Tralascio pure  le risate che si fanno le cosiddette autorità sull’obbligo d’informare preventivamente, compiutamente e obbiettivamente i cittadini coinvolgendoli nelle decisioni relative all’insediamento e al funzionamento d’insediamenti del genere. Non posso, però, tralasciare, tra le tante cose curiose in cui m’imbatto quando lavoro su impianti del genere e in tutte le scartoffie del caso, la letteratura prodotta dai tecnici al servizio del costruttore. In mezzo alle numerose stranezze che debordano da qualunque nozione scientifica c’è il disinteresse più totale per l’ambiente in cui l’impianto si va a collocare. Se, come nel caso in questione, a non troppa distanza ci sono altri impianti simili, c’è un aeroporto, c’è una centrale a carbone, c’è una megaraffineria, c’è almeno un  paio di discariche, c’è un inceneritore di rifiuti, il tutto oltre al “normale” inquinamento da traffico, da riscaldamento e da altre fonti assortite, che importa? I tecnici si concentrano sul loro impianto come se quello sorgesse nelle plaghe di un pianeta disabitato e come se la sinergia tra inquinanti, cioè la loro capacità di potenziarsi quando agiscono insieme, non esistesse. I tossicologi? I tanto moderni quanto ignorati nano patologi? Creature di fantasia. E, ancora immergendosi in quella letteratura, è difficile non notare quanto scarni siano i dati effettivi riportati, sempre che siano veritieri. Prendiamo, ad esempio, le polveri che, nella loro varietà di polveri secondarie, quelle che, tra l’altro, trasportano le diossine, natura vuole siano prodotte in quantità indiscutibilmente rilevanti da centrali come quella di Pian della Carlotta. Di queste si parla rarissimamente. Se lo si fa, lo si fa en passant, senza prendersi il disturbo nemmeno di quantificarle. Una caterva di parametri fondamentali regolarmente ignorati. Quando, poi, si fanno i calcoli sulle aree di ricadute, siamo al comico. E le centinaia di sostanze organiche che non esistono semplicemente perché nessuno le menziona né, men che meno, penserà mai di andarsi ad accertare se scaturiranno da quella serie di processi? Si fa finta di niente, si consegna alle cosiddette autorità un pacco che sia il più voluminoso possibile di fogli gonfi di aria fritta che nessuno esaminerà con occhio clinico – ammesso che ci sia qualcuno che li leggerà del tutto – e il placet è cosa automatica.

Aria, acqua, composizione e acidità del terreno, biodiversità, microclima… In fondo, siamo crudamente franchi: chi se ne frega? L’importante è portarsi a casa un paco di quattrini che non verranno certo da calcoli economici reali in cui si tiene conto del valore venale, se mai esiste un valore venale, di un territorio sotto tortura, di terreni, colture e immobili svalutati e di una popolazione inevitabilmente più soggetta a cedere la propria salute per quelle che si chiamano nanopatologie. Curiosamente, ci sarà chi si porterà a casa i quattrini e chi invece, il tradizionale Pantalone, pagherà i danni.

Restando sempre confinato alle mia ormai fin troppo lunga esperienza in proposito (ormai sono ufficialmente un vecchio e, per di più, un vecchio irritabile), una delle cose che mi disturbano di più al di là delle chiacchiere dei politici, della loro inefficienza, qualche volta allestita ad arte, dell’infedeltà dei tecnici e di quelli che chiamiamo scienziati c’è la reazione della gente, cioè di chi subisce e basta senza la pur becera soddisfazione di portarsi a casa un soldo. Quasi sempre la reazione è limitata a mugugni, a qualche piagnucolio e, magari, a una parata di striscioni con scritte di protesta. Senza voler deludere nessuno, è bene si sappia che politici “interessati” e faccendieri trovano tutto questo molto pittoresco e anche divertente. Poi, quando la centrale sarà in piena attività, non sarà impossibile che qualcuno si senta male per le esalazioni non proprio gradevoli e non proprio pari alle promesse di salubrità espresse dagli “scienziati” a gettone. Ma, ancora una volta, si può stare certi che questo non accadrà mai nei dintorni di Cerveteri dai cui impianti uscirà solo aria balsamica. Parola di lupetto? Parola di lupetto.

Dimenticavo: le nanopatologie di cui accennavo non sono affatto malattie piccole. Sono cancri, ictus, infarti, tromboembolie polmonari, aborti, malformazioni fetali, malattie neuroendocrine…

Stefano Montanari

Direttore scientifico laboratorio Nanodiagnostics 

San Vito (Modena)

 

Profilo del gestore del sito e recapiti

In evidenza

Rassegna stampa della quarta conferenza mondiale Science for Peace della Fondazione Umberto Veronesi
Stefano Montanari, esperto di nanoparticelle, interviene sulla centrale a biogas di Cerveteri
Copyright Bioidee
Realizzato con Simpleditor 1.7.5